Recensione: La Catena di Ferro
La speranza è una prigione. La verità la chiave che la apre.
Titolo: La Catena di Ferro (Titolo originale: Chain of Iron)
Autrice: Cassandra Clare
Pubblicazione Mondadori: 27 aprile 2021
Prezzo di copertina: 22 €
Recensione: Cassandra Clare è ritornata con il suo fantamilionesimo (?) libro e la sottoscritta, che non se ne perde uno da quando era una pulce ai primi anni di liceo, ovviamente l’ha letto alla velocità della luce. Sono passati già due mesi esatti, a dire il vero – aiuto! – anche se l’uscita italiana risale appena alla scorsa settimana.
Dopo l’uscita de La Catena d’Oro lo scorso anno, ho fatto di nuovo una full immersion in questa saga: il primo libro di questa trilogia mi è piaciuto tantissimo e quindi attendevo con ansia l’uscita de La Catena di Ferro. Posso dire di aver amato anche questo volume, anche se per me non ha raggiunto i livelli del precedente e per certi versi mi ha delusa. Ma attenzione, questo non significa che sia bocciato – tutt’altro!
Come accade di solito con i secondi volumi, mi aspettavo che anche questo fosse un libro “di passaggio”, che poco aggiunge alla storia in sé. Tuttavia, in quasi 700 pagine la Clare ha fatto un gran lavoro di introspezione ed evoluzione dei personaggi, tenendoci nel frattempo col fiato sospeso con la sua trama “mistery” che lega e tiene insieme tutte le vicende.
Avevamo lasciato Cordelia Carstairs appena fidanzata con James, con la promessa di un “matrimonio riparatore” della durata di un anno, giusto il tempo per sanare la loro reputazione; la ritroviamo all’inizio di questo capitolo quattro mesi dopo, nel bel mezzo dei preparativi delle nozze. Seguendo la sua crescita personale in questa nuova avventura, la vediamo maturare e raggiungere il massimo del suo splendore, seppur non senza difficoltà ed errori.
James Herondale è ancora sotto l’influenza di Grace Blackthorn, ma anche lui fa un gran bel percorso in questo libro, l’ho adorato dall'inizio alla fine. In più, Belial è sempre lì ad aspettarlo nascosto fra le ombre: il demone superiore punta ancora ad usare il nipote per i suoi scopi malvagi con l’aiuto della folle Tatiana Blackthorn, che in questo libro secondo me supera ogni limite e si fa odiare ancor più profondamente di prima.
Matthew Fairchild, di cui – purtroppo – non leggiamo nulla dal suo punto di vista, è sempre più provato dal peso dei suoi segreti ed il suo problema con l’alcool non fa che peggiorare, ma non manca di regalarci momenti memorabili con la sua brillante personalità.
Lucie Herondale è alle prese con i suoi tentativi di riportare in vita Jesse Blackthorn, e questo la porta a nascondere sempre più segreti e di conseguenza ad allontanarsi progressivamente da amici e famiglia.
Nel frattempo, un assassino si aggira per le strade di Londra e miete le sue vittime fra gli Shadowhunters durante la notte, senza lasciare traccia alcuna e mettendo in allerta il Conclave.
Per cominciare, lo stile della Clare è accattivante come sempre e, c’è da dirlo, secondo me è al top nel contesto storico della Londra edoardiana, estremamente vivido fra le pagine con tutti i suoi accurati riferimenti all’epoca e gli immancabili richiami letterari – a partire dalla trama della serie stessa, che ripercorre e reinterpreta alcune delle dinamiche e delle tematiche dell’opera di Dickens “Grandi Speranze” – che ci accompagnano nella lettura e la rendono ancora più affascinante. D’altronde, l’autrice aveva dato prova della sua bravura in questo genere già nella trilogia “The Infernal Devices” (non a caso la mia preferita della saga), dove la Londra vittoriana fa da sfondo alle vicende degli Shadowhunters di cui i protagonisti di “The Last Hours” sono i diretti discendenti.
La narrazione è affidata principalmente ai punti di vista di Lucie, Cordelia e James: questi occupano infatti la maggior parte del romanzo, ma lasciano comunque un piccolo spazio anche a quelli di Thomas, Alastair, Anna, Ariadne, Christopher e Grace; di quest’ultima scopriamo parecchio riguardo al suo passato ed ai suoi sentimenti – ho apprezzato molto questa scelta per il suo personaggio, e sebbene non mi abbia portata a giustificare le sue azioni né tantomeno abbia rappresentato effettivamente una svolta o una redenzione per lei, mi ha permesso di capirla meglio e, soprattutto, mi ha molto incuriosita. Che la si odi a morte o la si ami alla follia, di una cosa sono certa: il personaggio di Grace Blackthorn è davvero ben costruito e proprio per questo riesce a farsi odiare o amare così bene.
Il ritmo della storia è più lento all’inizio, in quanto si susseguono capitoli su capitoli dove la trama fa più da “sottofondo” e dove vere protagoniste sono le relazioni fra i personaggi, dei quali seguiamo l’evoluzione (in meglio, ma anche in peggio in alcuni casi) e di cui approfondiamo la conoscenza del background, dei sentimenti e delle motivazioni che si celano dietro ai loro comportamenti.
La prevalenza delle relazioni sulla trama in questa prima parte però non significa che quest’ultima sia assente, anzi: mi è piaciuta moltissimo la storia dell’assassino, così come il modo in cui la Clare ha strutturato gli eventi e ha disseminato indizi qui e là; non nego di aver previsto la risoluzione del mistero in una delle mie tante teorie folli, ma nonostante questo non l’ho trovato prevedibile, anzi, penso che sia una trovata davvero interessante che dà spazio a molte possibilità per gli sviluppi futuri. Tanti altri sono i colpi di scena che hanno contribuito a tenermi incollata alle pagine fino alla fine del libro e a mantenere la lettura sempre interessante e mai noiosa, nemmeno nei suoi punti più “statici”, dedicati come già detto alla – necessaria – introspezione dei personaggi.
Sono stata delusa da una storyline in particolare, che aveva parecchio potenziale che è stato però sfruttato male a mio parere, a meno che suscitare questa delusione non fosse proprio l’effetto voluto dall’autrice: in quel caso, con me l’ha ottenuto in pieno.
In tutto ciò, a portare le redini della storia è la totale mancanza di comunicazione, perché davvero, se solo tutti quanti si dicessero due cose in più la quasi totalità dei problemi non sarebbe mai esistita dal principio.
Ma Cassandra ama farci soffrire, e – ahimè – lo sa fare bene: il finale totalmente sconvolgente a livello emotivo ne è la prova principale all’interno di questo libro che, in ogni caso, ritengo sia un degno sequel del primo, pur non superandolo in qualità, e che ponga delle basi solide per il capitolo finale della serie, che sembra proprio voler diventare la mia nuova preferita (ma questo dipende tutto da come l’autrice tirerà le somme della storia).
Insomma, un altro sì per la Clare (anche se sudato) e un’altra estenuante attesa piena di ansie e teorie assurde nel variegato ed immenso mondo degli Shadowhunters per me. E voi, mi farete compagnia?
Stelle: 4/5
Veniamo comunque adesso alla parte SPOILER, che più che un continuo della recensione è, se vogliamo, la mia opinione nello specifico sulle storylines principali. Prendetelo come uno “sfogo extra”, necessario perché non finirò mai di discutere su questo libro (almeno fino al prossimo anno, quando si aggiungerà quello successivo).
Di cose da dire ce ne sarebbero per scrivere una tesi, ma non mi dilungherò all’infinito, promesso.
Innanzitutto James Herondale, per me il migliore in assoluto: in questo libro viene fuori la sua vera essenza e lui si conferma essere il degno erede di suo padre Will (che però, diciamocelo, è un genitore un po’ disattento).
Nonostante quel dannato braccialetto che oscura il suo cuore, il suo amore nei confronti di Cordelia è palese (ma solo ai nostri occhi, purtroppo) ed in questo libro si presenta come il “marito perfetto”: sebbene il loro matrimonio sia fondato su una farsa, infatti, James non si fa scrupoli ad assicurarsi che l’esperienza di convivenza con Cordelia sia quanto più piacevole e confortevole possibile per lei: le fa dei regali, trascorre le serate con lei a chiacchierare (le scene delle loro partite a scacchi o in generale dei loro momenti “domestici” sono oro puro), arreda la casa secondo i suoi gusti e le sue esigenze e si mette a sua completa disposizione. Insomma, posso sposarlo anch’io un James? Anche per finta, mi va benissimo!
L’unica cosa che James crede di non poter dare a Cordelia è, purtroppo, proprio quella che lei desidera più di ogni altra: il suo cuore. Ma la forza del suo amore riesce a superare anche questo ostacolo (la scena della rottura del braccialetto è stata a dir poco sublime, anche se all’inizio ero un po’ incredula per la facilità con cui è accaduto).
Ed il confronto tra Grace e James? Spettacolare: una delle mie scene preferite del libro, il modo in cui James l’ha gestita è stato esemplare, lui ha detto tutto quello che avremmo voluto dire noi sin dall’inizio ma è riuscito allo stesso tempo anche a mostrare pietà nei confronti della ragazza che l’ha manipolato per anni, nonostante la rabbia e la piena consapevolezza (finalmente raggiunta) dei torti che gli sono stati fatti.
Alla fine, James è stato anche costretto a sacrificare la propria felicità per mettere prima il bene degli altri: lo vediamo infatti rinunciare alla possibilità di seguire Cordelia e Matthew e chiarire la situazione tra di loro per dare la priorità alla sua famiglia, che si ritrova ad affrontare l’improvvisa scomparsa di Lucie.
Ho adorato Cordelia allo stesso modo, con i suoi innumerevoli punti di forza ma anche le sue fragilità. Già dopo un solo libro mi aveva completamente conquistata, diventando la mia nuova protagonista femminile preferita della saga, e posso dire di essere felice di aver confermato il mio parere anche dopo Chain of Iron. In questo capitolo la vediamo crescere e affrontare a testa alta ogni situazione: la consapevolezza che il suo amore per James non è ricambiato, la morte di suo padre (però ben gli stava ad Elias, diciamocelo) ed il suo allontanamento da Lucie. In due occasioni l’abbiamo vista cedere al suo lato più debole: innanzitutto quando ha stretto il patto con “Wayland il Fabbro”, che poi si è rivelato essere un inganno della madre dei demoni, Lilith; e poi nel capitolo finale, quando accetta di partire con Matthew per Parigi.
Nel primo caso mi ha ricordato un po’ la sua erede Emma Carstairs (la protagonista di The Dark Artifices), con il suo forte desiderio di essere un’eroina e fare del bene ad ogni costo; sicuramente una mossa avventata, ma in fondo comprendo le sue motivazioni e la sua ingenuità e non gliene faccio una colpa.
Poi, alla fine: Cordelia del mio cuore, non potevi proprio stare lì ad ascoltare Grace e James un minutino in più, non è vero? Che nervi, aaaah! Anche se, ancora una volta, merita un po’ della mia comprensione: dopo quella che sembra essere l’ennesima prova del fatto che James non l’amerà mai, dopo aver perso suo padre e la possibilità di diventare la parabatai della sua migliore amica, Londra è per lei più una trappola che una casa; la proposta di Matthew di cambiare aria per un po’ è indubbiamente allettante e la porta a fare questa scelta avventata ed egoista. E nel frattempo noi (e James) piangiamo.
Giacché l’abbiamo nominato, veniamo al nostro Matthew Fairchild: chi mi conosce sa quanto io ami questo personaggio, uno dei migliori costruiti dalla Clare a mio parere, e proprio per questo quello di cui temo di più il destino, data la sua situazione complicata. Eppure, nonostante il peso dei suoi segreti sia sempre più insostenibile ed il suo alcolismo sembri solo peggiorare, ho adorato le sue scene durante tutto il libro: il suo umorismo, il suo stile unico e stravagante, il suo senso del dovere, il suo saper dire sempre la cosa giusta al momento giusto. Anche la sua scelta finale di andare via a Parigi era comprensibile, ma mi lascia una punta in più di amarezza rispetto a quella di Cordelia perché il mio pensiero va dritto al suo parabatai, James, ovvero la persona che Matthew ama più di tutte (e questo è semplicemente stato palese sin da quando abbiamo incontrato per la prima volta questi due personaggi). In sintesi: Cassandra, hai rotto con questa mancata comunicazione tra parabatai (e non solo). E, soprattutto, hai rotto con questi triangoli, anche se, si spera, qui di triangolo non si possa parlare perché è chiarito esplicitamente che i sentimenti di Matthew per Cordelia non sono ricambiati (e menomale).
Una cosa che non ho per niente apprezzato è che, ancora una volta, nessuno fa esplicitamente riferimento al suo problema, né tantomeno si muove concretamente per aiutarlo. Matthew fa un passo avanti confessando il suo segreto a Cordelia, la quale si comporta da buona amica nei suoi confronti e prova ad aiutarlo, ma anche lei a mio parere non fa abbastanza. Tutti (non) parlano della situazione di Matthew come fosse un tabù; si preoccupano, ma non dicono e non fanno nulla. Di certo è una questione delicata che non si può affrontare dall’oggi al domani, ma secondo me viene comunque lasciato ancora fin troppo poco spazio a questo problema. Fra l’altro, quando Matthew scoprirà la vera natura dei sentimenti di James per Cordelia, verrà come minimo sommerso da un’altra valanga di sensi di colpa, ovvero l’ultima cosa di cui quel povero ragazzo ha bisogno.
Non ho apprezzato inoltre il passaggio in cui accetta così facilmente le condizioni di Cordelia di non toccare l’alcool a Parigi – che poi è praticamente certo che queste non verranno rispettate. Non sono pronta a vederlo crollare, merita il suo lieto fine e deve a tutti i costi averlo, altrimenti non mi darò più pace (sì, sono drammatica ma è Matthew Fairchild, sono più che giustificata).
Ora, veniamo alla nota dolente (per me): Lucie Herondale.
La nostra Lucie è sempre stata uno dei miei personaggi preferiti, ma il modo in cui si è comportata in questo libro mi ha davvero delusa. Mi aspettavo di amare i suoi punti di vista, ed invece ogni volta che ne leggevo uno mi innervosivo più di quello prima. Ero pronta a vederla alle prese con i suoi esperimenti per resuscitare Jesse e a veder sbocciare il loro amore; così effettivamente è stato, ma il modo in cui tutto ciò è successo non ha per niente soddisfatto le mie aspettative.
Innanzitutto, le scene tra Lucie e Jesse avrebbero avuto tutto un altro effetto per me se messe in un altro contesto; prese singolarmente sono carine (fatta eccezione per alcuni elementi che personalmente ho trovato davvero "cringe"), e posso dire di aver apprezzato la presenza di comunicazione ed il loro dirsi le cose in maniera diretta, anche quando si è trattato di dichiarare i loro sentimenti (cosa che hanno fatto anche Thomas e Alastair, e aggiungerei: FINALMENTE); sarebbe infatti stato ripetitivo farli penare in questo senso come, ad esempio, James e Cordelia (e anche Anna e Ariadne). Il problema, però, è al principio: mentre Thomas e Alastair hanno dei trascorsi e dei presupposti validi alla base dei loro sentimenti, per Jesse e Lucie non c’è stato nessuno sviluppo che abbia potuto portare a questo innamoramento così forte ed improvviso: mi è sembrato tutto troppo affrettato, o comunque fuori luogo in quei momenti. Li avevamo lasciati in Chain of Gold dopo aver appena sviluppato una tenera amicizia; dei quattro mesi fra i due libri, però, non sappiamo nulla, per cui non sono riuscita ad individuare delle basi solide che giustificassero tutto questo amore così da un momento all’altro, se non appunto la foga adolescenziale ed il modo in cui Lucie vive tutte le sue esperienze, ovvero come in una delle sue storie, in cui lei è l’autrice ed in cui quindi è lei a decidere come vanno le cose, in base a ciò che le sta le sta bene o non.
Il vero punto critico per me, quindi, sta nel comportamento di Lucie: se da un lato infatti Jesse ha solo Lucie oltre alla sua discutibile famiglia (e quindi questo giustificherebbe l’attaccamento di lui nei confronti di lei, anche se non ci è completamente chiaro dal momento che non leggiamo il suo punto di vista), dall’altra Lucie ha una famiglia a cui tiene tantissimo, e quei pochi amici a cui è sempre stata fortemente legata; eppure, non ci ha pensato due volte a voltar loro le spalle e allontanarli con i suoi segreti, a favore del suo nuovo amore per Jesse, che riesce fra l’altro a resuscitare quasi con un semplice schiocco delle dita (Thanos qui ci vuoi veramente tu, mi sa) e con cui decide su due piedi di fuggire.
Cassandra mi avrà sempre sulla coscienza per aver rovinato in questo modo il rapporto tra lei e Cordelia. Quest’ultima è stata sempre oggetto di incondizionata adorazione da parte di Lucie, la quale parlava sempre dell’amica, non vedeva l'ora di averla con sé a Londra, ha scritto un libro solo per lei, le ha chiesto di diventare parabatai ed era così felice di averla come sorella tramite James. Appena Jesse è entrato in scena è stato come se avesse improvvisamente dimenticato tutto questo: si è persa in un gioco oscuro e più grande di lei. Le pressioni di Grace non hanno aiutato; inoltre in Chain of Gold ha più volte ripetuto queste parole: “non mi piace essere lasciata in disparte”. Sia quando Belial considerava James e non lei, sia quando i Merry Thieves andavano in missione e non la coinvolgevano direttamente.
Lucie Herondale vive il “dramma della sorella minore” che si sente messa in ombra (allarme ironia) dal fratello maggiore, non solo per le sue capacità e per la sua età (lei è, ricordiamo, la più giovane del gruppo) ma anche per il suo essere donna, come si è fatto esplicitamente riferimento in Chain of Iron. Non appena Lucie ha trovato quella che erroneamente considerava l'occasione perfetta per fare anche lei l'eroina e finalmente sentirsi più “importante” l’ha colta e ne è divenuta praticamente ossessionata, perché il suo bisogno di superare questo senso di inferiorità ha annebbiato tutto il resto. In più, considerando il fatto che sia sempre stata molto protetta dalla sua famiglia e abbia avuto pochissime esperienze sociali al di fuori del nucleo famigliare e di Cordelia, è facile comprendere come Lucie abbia finito per buttarsi a capofitto in questo circolo vizioso di azioni irresponsabili che l’hanno portata completamente fuori strada.
Tuttavia, voglio credere che la Clare (anche alla luce delle sue dichiarazioni sui social a riguardo) non abbia scritto la sua storyline in questo modo per nulla: probabilmente la sua intenzione non era quella di farci sostenere le scelte di Lucie, bensì quella di farci capire quanto tutti questi segreti siano deleteri per le relazioni e a quanti problemi questi possano portare. I segreti sono, del resto, uno degli elementi chiave di tutto il romanzo e la trama di Lucie ne è la rappresentazione concreta.
In Chain of Thorns mi aspetto di vedere una Lucie Herondale che si assume le responsabilità delle sue azioni e ne affronta le conseguenze com’è giusto che sia (anche perché ci tengo ad una redenzione della mia bambina - l'ho insultata per tutto il libro ma le voglio ancora tanto bene, ok?).
Spendo le ultime due paroline per osannare quel cucciolo di Christopher Lightwood, di cui meritiamo sicuramente più scene e che con la sua intelligenza e la sua purezza è stata una luce nel buio in tutto il romanzo; ed infine esprimo il mio amore incondizionato ma anche rammarico per la situazione di Anna e Ariadne/Kamala che, sebbene ci abbiano regalato delle scene molto interessanti all'Helle Ruelle, non hanno contribuito chissà quanto allo sviluppo della trama in sé, e di sicuro non hanno fatto progressi in positivo con la loro relazione (cosa in cui invece speravo): sono ancora in due posizioni completamente diverse, entrambi i loro punti di vista sono condivisibili ma se nessuna delle due (soprattutto Anna) farà un passo verso l'altra sarà davvero difficile sperare in un lieto fine per loro in Chain of Thorns (la mia mente sta già dipingendo gli scenari peggiori, fermatemi per favore, ho bisogno che tutti i miei protetti siano vivi e vegeti alla fine di questo viaggio).
E nulla, direi che ho davvero parlato troppo. Questa saga mi farà esaurire completamente — anzi, forse l'ha già fatto. Ad ogni modo, siccome ho detto a malapena la metà delle cose che avrei voluto dire (eh già) mi farebbe tanto piacere parlarne ancora con voi, che sia qui sul blog o sugli altri canali social: sono curiosissima di sentire anche le vostre opinioni!
Per adesso è tutto, lascio la parola a voi. Un abbraccio,
Arianna

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